Pubblicità ingannevole: Google condannata in Australia

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Google è stata ritenuta responsabile da un tribunale australiano di una pubblicità ingannevole pubblicata da AdWords.
Secondo un tribunale australiano Google avrebbe consentito di pubblicare notizie mendaci sul suo motore di ricerca, a quattro inserzionisti. Le inserzioni sarebbero contrarie alla normativa in materia di pubblicità ingannevole e precisamente alla sezione 52 del Trade Practices Act 1974 secondo la quale Google ha permesso di adoperare parole chiave legate a concorrenti diretti. Gli annunci transitano attraverso AdWords che è il gestore di pubblicità su Google e consente agli inserzionisti di scegliere le parole chiave, ovvero parole o frasi correlate all’attività commerciale che si vuole pubblicizzare. Quando un navigatore ricerca su Google una delle parole chave ecco che l’annuncio viene visualizzato in uno dei risultati della ricerca. Il navigatore quindi può accedere all’azienda con un clic sull’annuncio.

La questione riporta due linee di pensiero, secondo Google gli inserzionisti dovrebbero essere gli unici responsabili di ciò che scrivono e quindi di eventuali informazioni scorrette, secondo il giudice Peter Jacobson che ha emesso la sentenza (PDF) responsabile sarebbe Google che viene anche invitata a riesaminare le regole per le inserzioni «alla luce della decisione della Corte». Inoltre Google dovrà pagare le spese sostenute da ACCC. In questo caso la ACCC (Commissione australiana per la concorrenza e i consumatori) ha insistito nel suo procedimento memore dell’insoddisfazione che aveva subito per la causa persa il 22 settembre 2011 dopo quattro anni di battaglie legali e che vide Google condannata al pagamento solo di una semplice multa di 28 mila dollari.

Nel caso dei quattro inserzionisti la corte federale ha accolto il ricorso e ha considerato che i quattro annunci chiaramente fuorvianti perchè si spacciavano come rivenditori ufficiali di alcuni marchi, quando invece non lo erano. Hanno giudicato Google responsabile perchè non ha fatto nulla per rimuoverli. Questa sentenza è importante perché ha chiarito che i motori di ricerca sono direttamente responsabili per gli ingannevoli risultati di ricerca che producono.

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