L’Egitto bandisce i siti porno

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Un tribunale egiziano ha ordinato al governo di vietare i siti internet pornografici, al fine di proteggere la società e i suoi valori. La decisione e un’iniziativa analoga in Parlamento hanno alimentato paure nella frangia liberale e laica egiziana, per la quale il Paese si sta muovendo lungo la strada del fondamentalismo islamico, dopo una schiacciante vittoria degli islamisti alle elezioni parlamentari.

La sentenza di mercoledì, emessa da un tribunale di grado inferiore, può essere oggetto di ricorso. Tre anni fa, un tribunale ha emesso una sentenza simile, ma non è stata applicata, perché al momento, i funzionari sostennero che i sistemi di filtraggio non erano stati efficaci. Gli attivisti dei diritti umani hanno criticato l’ultima sentenza e hanno avvertito che si tratta di una violazione della libertà di informazione in una società già conservatrice.

Il problema dei siti pornografici è emersa quando un deputato ultraconservatore ha presentato un’interrogazione chiedendo al governo di bandire i siti web pornografici, perché mettono in pericolo la moralità dei giovani del Paese. Il parlamentare ha chiesto al governo di introdurre una legislazione che vieta i siti che promuovono la corruzione e l’immoralità. Gli esperti della Rete hanno detto che cercare di vietare la pornografia, con una sentenza del tribunale o con una normativa, è del tutto inefficace. L’utilizzo del parental control è considerato un modo semplice per limitare l’accesso dei minori a contenuti offensivi.

È molto difficile da implementare ed è uno spreco di risorse“, ha detto l’avvocato Abdel-Soha Attie che fa parte dell’iniziativa egiziana per i diritti umani. Altri hanno affermato che il divieto è una violazione della libertà di espressione e di informazione, che potrebbe essere seguito da altre misure per censurare i dissidenti. Ramy Raoof, un attivista on line, ha rivelato che durante il regime del deposto leader di Hosni Mubarak, il governo ha bloccato siti web islamisti per brevi periodi durante i periodi elettorali per limitare, appunto, le loro attività.

Durante i 18 giorni di rivolta che hanno fatto cadere Mubarak, il governo ha bloccato l’Internet per diversi giorni, nel tentativo di interrompere le comunicazioni tra gli attivisti. La misura non è riuscita a contenere le grandi proteste di piazza contro il regime. Raoof ha detto, inoltre, che il blocco delle informazioni non è un modo pratico per affrontare i problemi sociali, poiché l’ordine del tribunale non definisce specifiche direttive su come applicare tale divieto, su come monitorare la sua attuazione, verso i siti ritenuti offensivi.

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