Una tesi del professore Gerald Crabtree, un luminare in genetica della Stanford University negli Stati Uniti sostiene che è più intelligente l’homo sapiens. Nella preistoria non ci si poteva informare con Google , non si cercava la strada con le mappe sullo smartphone, non si comunicava con Facebook e Twitter, l’uomo si doveva arrangiare da solo, senza alcuno strumento, al massimo con clava e tamburo. Oggi non ci si deve ingegnare per trovare da mangiare, basta entrare in un supermercato e empire il carrello. Ma ciò non ci emoziona. Volete mettere l’emozione di un nostro antenato quando dopo ore di rincorsa, pericoli e inseguimenti riusciva a catturare una bella preda carnosa e grassa?
Le emozioni, afferma il luminare, pian piano diventeranno sempre meno intense e anche la nostra intelligenza è destinata a diminuire. Il declino dell’uomo è iniziato già con l’avvento dell’agricoltura e con lo sviluppo delle città, infatti già allora il nostro cervello avrebbe iniziato a diventare più apatico anche a causa dello scemare della selezione naturale che faceva sopravvivere solo i più forti e i più bravi. E così si è avuto un lento, ma progressivo rilassamento.
Ma ci si potrebbe chiedere, come la mettiamo con tutte le produzioni altamente tecnologiche che ci circondano?
Il professore risponde con l’affermazione che la rivoluzione scientifica ha nascosto il calo della nostra intelligenza ovattandoci il cervello. Secondo lui la vita più comoda e agiata ha provocato mutazioni genetiche che generazione dopo generazione si sono accumulate e tra queste si annoverano anche mutazioni relative alla capacità cognitive dell’uomo. Se si confrontassero le capacità cognitive di un uomo del 1000 a.C. egli sarebbe il più ingegnoso e più acuto dell’uomo di oggi. La sua memoria sarebbe sicuramente impareggiabile e avrebbe molte idee per la sua sopravvivenza. E il punto è proprio questo. Se il nostro antenato avesse sbagliato sarebbe morto, oggi con uno stesso errore concettuale non capiterebbe più, pertanto la regressione è garantita, tra 3.000 anni saremo tutti un po’ più ottusi, continua il luminare. Questo lo sostiene lui, tra 3.000 anni staremo a vedere.