Come prevedibile dato il regime dittatoriale che impera in Iran, il ministro dell’informazione e delle comunicazioni iraniano, Reza Taghipour, oscurerà servizi web messi a disposizione gratuitamente da Google, Yahoo! e Hotmail. Tale intento non è una sorpresa, anzi segue altri gravi e precedenti fatti in cui erano state censurate stazioni televisive e radiofoniche.
Il ministro in realtà ha comunicato che vuole solo creare una intranet nazionale con molte limitazioni il che va inteso, in modo chiaro e netto, che ci sarà l’oscuramento di una numerosa lista social network e di portali non graditi o non controllabili dal governo di Teheran.
In maggio, non appena partirà la rete intranet nazionale iraniana, milioni di utenti iraniani vedranno fortemente diminuita la libertà di navigare in Rete. I servizi gratuiti di Google, Yahoo!, Microsoft saranno sostituiti da servizi iraniani come Iran Mail e Iran Search Engine che chiederanno credenziali che verranno sicuramente sottoposte a controllo da parte delle autorità.
In agosto, poi, verrà imposto agli Internet Service Provider iraniani di aderire alla rete nazionale con grandi limitazioni di accesso da computer e da dispositivi mobili a cui saranno soggetti tutti i cittadini residenti in Iran.
Verranno stilate, per così dire, due liste, la lista bianca e la lista nera che elencheranno i rispettivamente i siti stranieri “buoni” e quelli “cattivi”, ovvero i siti “buoni” saranno quelli approvati dal Governo. E per tutti gli altri? Non si sa. Comunque sembra che il sito delle Olimpiadi di Londra 2012 risulti al momento inaccessibile dall’Iran. Sito “cattivo” anche quello delle Olimpiadi?
Già lo scorso ottobre Facebook veniva additato come una vera e propria minaccia ai valori islamici. Qualche giorno fa il ministro Taghipour ha affermato testualmente che “il Web promuove il crimine, la frammentazione nazionale, contenuti immorali e l’ateismo”, il web sarebbe quindi un “flagello” e come tale va eliminato. Queste convinzioni probabilmente sono state provocate anche dalle violente vicende del giugno 2009 quando su Twitter e Facebook sono state pubblicate molte testimonianze sulla forza e sulle violenze perpetrate dai militari per reprimere le rivolte di piazza.